La luce va, la luce viene. All’Arechi la luminosità (dei riflettori) sembra un cuore che pulsa: batte e si arresta. Si oscura quando il pallone assume tinte granata, splende quando la palla vola sulle ali del Picchio. Una partita maiuscola e desiderata fortemente da un Ascoli che ha ritrovato se stesso. Dispiace per gli amici salernitani che con quel 2-0 regolare, con molta probabilità avrebbero portato a casa la partita, ma forse l’angelo custode del calcio ha pensato che era giusto così. Era giusto fare un dispetto al “padrino” Lotito. Si consiglia di vedere il folklorismo con cui gli amici granata commentano la partita a caldo su YouTube, per fortuna non abbiamo una cosa simile ad Ascoli! Subirebbe la censura all’istante da Google.

Tre sono i riflettori puntati (quelli buoni) sul Picchio:

Tecnica e forma atletica: Nonostante il primo tempo non sia stato da antologia del calcio, i giocatori dell’Ascoli imbastiscono nei 90 minuti trame di elevato spessore calcistico. La finalizzazione è mancata, ma per il campionato cadetto, è già eleganza e bel calcio. Triangolazioni superbe a cui è mancato solo il vertice letale. Forma atletica perfetta in uno dei momenti decisivi della stagione (3 trasferte in una settimana): da stropicciarsi gli occhi per rendersi conto della reale potenza dei muscoli di Gravillon e dei cavalli inseriti nei polpacci di Cavion.

Mentalità e ardore: quelle caratteristiche, quei sentimenti, quella “raja”, che i tifosi ascolani vogliono che prendino fuoco nei giocatori del Picchio. Mister Zanetti, ne è stato l’interprete migliore. Ha trasferito la giusta mentalità e ha insegnato ai suoi allievi come metterla in pratica. Modulo offensivo, attacco carico, centrocampo snello e difesa maschia. Equilibrio non perturbato. A pensare che qualche tempo fa, perdeva a tempo, a spiegare che il pallone era di tutti e non di uno solo… 

Componenti unite: il quadro che immortala ciò è la foto scattata al momento dell’esultanza. Scamacca in prima fila in stile Maori davanti agli irriducibili tifosi bianconeri, Petrucci (finalmente) in versione Duca, Gravillon in estasi metafisica sollevato da terra e lontano, un da Cruz che grida di gioia. E ancor più lontano il Mister, poi la dirigenza, poi tutti gli altri tifosi a distanza di centinaia e centinaia di chilometri. 

Tutti, chi più vicino, chi più lontano, uniti! Quanto è bella l’unione? Non fa solo forza, fa anche felicità ed entusiasmo contagioso.

Allora andiamo a festeggiare al Marassi, andiamo a respirare quell’odore del grande calcio, che manca da tanto sotto i riflettori del Duca, ma tornerà, prima o poi tornerà…

Sezione: Copertina / Data: Dom 01 dicembre 2019 alle 14:35
Autore: Massimo Virgili
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