"L'Ascoli crolla ma l'ascolano non molla" mai concetto fu più azzeccato per descrivere il clima che si avverte tra le cento torri. Città devastata dal ventiseiesimo anniversario della morte del presidentissimo Rozzi ma soprattutto dalla lunga striscia di risultati negativi che stanno spingendo i bianconeri sempre più verso la Serie C. Pochi punti, 6 per essere precisi, tante sconfitte e una sola vittoria ma il popolo non molla.

I primi commenti a caldo nei post-partita lasciano presagire una piazza che ha abbandonato la squadra, la propria ragione di vita, quella che i meno romantici definiscono un semplice gruppo di 11 uomini che rincorrono un pallone. Ma l'Ascoli è molto di più e chi è nato in Ascoli, ci vive e ha vissuto i gradoni dello stadio "Del Duca" sa che tifare il Picchio non è un semplice passatempo, ma un vero e proprio lavoro. Tifare Ascoli è una virtù con la quale si nasce, che viene trasmessa da generazione in generazione e che ti condiziona la vita perché se l'Ascoli Calcio perde, la notte non si dorme. I pensieri ti assalgono, la paura bussa alla tua porta ma la voglia di tornare a spingere la squadra a risorgere dalle ceneri come una fenice è più forte di qualsiasi altra cosa. 

Ed è questo il sentimento che prevale nel cuore dei tifosi bianconeri alla vigilia del match esterno contro il Monza di Galliani e Berlusconi. Un avversario forte, che sicuramente non renderà la vita facile al picchio. La gente grida al riscatto, alla reazione d'orgoglio, a tornare l'Ascoli che emozionava e che stupiva. Domani alle 19 non si giocherà una partita, ma una battaglia, e gli ascolani stanno indossando lo scudo e l'elmetto.

Sezione: Editoriale / Data: Lun 21 dicembre 2020 alle 09:00
Autore: Edoardo Ciriaci
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