Noi che viviamo di calcio.

Noi che fin da piccoli giocavamo con la palla nelle piazze, e trasformavamo la facciata delle chiese nell’unica porta delle nostre partite. Noi che se prendevi il rosone (senza spaccarlo) faceva figo e ti beccavi l’oooohh dell’amico.

Noi che partiamo dalla panchina, ma entriamo nel duello con la modalità spaccatutto.

Noi che ci sentiamo i migliori, anche se non lo siamo. Ma comunque dovete farci largo.

Quei palloni sui tetti che stan lassù per anni, che resistono ai terremoti, alle intemperie, al ritmo ciclico delle stagioni e alle pandemie dell’umanità. Noi che in fondo siamo quei palloni, sgonfi e invecchiati, ma ancora pronti a prendere un calcio, con meta verso il futuro. Quel futuro che è stato il sogno di tanti ragazzini e che forse lo è ancora di tutti noi.

Dai mondiali del ’78 alle varie serie A dell’era Costantino, noi che siamo ancora lì con la voglia di quel pallone che in fondo è la nostra storia.

                                                                                                        1898

Sei partite alla fine per tornare a giocarci quei duelli dei fasti antichi. Di quelli che è di nuovo magia. Non importa come andrà, l’importante è far festa. Noi, tra noi, per noi.

Si allungano le vittorie agli ultimi minuti, cresce il numero delle vittorie in casa. I numeri, le statistiche, e un po' di fortuna sembrano accompagnarci verso quei play off, che riporterebbero il nome dell’Ascoli Calcio nel regno che merita.

Ossia quello di un popolo che vive di calcio, nei secoli dei secoli.

Avanti Picchio, Nessuna Resa.

Sezione: Editoriale / Data: Sab 02 aprile 2022 alle 17:26
Autore: Massimo Virgili
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